Dalle pagine precedenti si potrebbe dedurre che avvocati e magistrati siano soggetti particolarmente furbi e che neghino alle parti l’accesso alle aule di giustizia al fine di meglio celare la corruzione e rinsaldare il loro potere a livello legislativo e giudiziario. In realtà, il primo motivo per il quale alle parti è negato l’accesso alla giustizia risulta quello del pericolo che, nelle aule di giustizia, passi la competenza tecnico-giuridica. L’insipienza della quale azzeccagarbugli e magistrati sono affetti raggiunge, di frequente, un livello talmente elevato che la stessa viene confusa con la corruzione, a causa dell’errato presupposto, suscitato nei profani, di conoscenza della legge da parte delle due categorie forensi. Coloro che sono in grado di comprendere ciò che leggono, ma si ritengono giuridicamente incompetenti, quando scorgono un errore nell’applicazione del diritto da parte di legulei e magistrati, tendono a concludere che la circostanza scaturisca da qualche irregolarità messa in atto volontariamente.
Anche in questo caso, esistono vari esempi. A detta dell’ex procuratore antimafia Pietro Grasso, un pubblico ministero che rinviene ai colpevoli del furto di una motocicletta e che ne rintraccia il proprietario attraverso il numero di telaio, è un fuoriclasse (13’55’’); Giovanni Falcone è comunque divenuto popolare essendosi distinto in ben altro tipo di indagini, oltre che per avere reso noto il livello di “preparazione” dei suoi colleghi. Ancora, per eccesso di ignoranza, ovvero “verbi sbagliati, errori di grammatica e di ortografia” un considerevole numero di componenti l’albo dei causidici fu respinto al concorso per l’accesso in magistratura a causa di cosiddetti “precedenti in grammatica” e ha “indotto seri dubbi sulle modalità di conseguimento del diploma di scuola media inferiore”. È da tenere conto, tra l’altro, che gli esaminatori di dette prove sono avvocati e magistrati, in luogo di persone competenti, per cui 322 dei soggetti sopra citati hanno comunque ottenuto il via libera a divenire giudici, essendo riusciti nell’impresa di commettere errori meno gravi.
L’ignoranza e l’apatia verso le previsioni di legge da parte di avvocatura e magistratura hanno pure causato perdite di vite umane nelle loro stesse fila: al processo contro le brigate rosse, queste ultime avevano minacciato di morte quegli azzeccagarbugli nominati d’ufficio che avessero accettato l’incarico. Per qualche ragione ancora sconosciuta, un leguleio scoprì l’articolo 6 della Legge 4 agosto 1955, n. 848 e chiese al corpo giudicante di applicarlo, lasciando così agli imputati la facoltà di difendersi personalmente; i magistrati, ancora una volta, disattesero le previsioni di legge. Meno di 10 mesi dopo, l’avvocato nominato d’ufficio venne assassinato. Non risulta alcun procedimento per abuso d’ufficio e concorso in omicidio a carico dei magistrati responsabili, ossia Guido Barbaro, tessera P2 n. 851 e Giovanni Mitola.